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Diretta Damilano - Enrico Torlo igor Damilano
Sfarzosa, cinematografica e coinvolgente la Tosca di Giacomo Puccini, nuovo e recentissimo allestimento del Teatro Comunale di Bologna, ha debuttato al Teatro Verdi di Trieste. Dopo l’inaugurazione dedicata all’opera prima di Piovani si ritorna nel segno della tradizione con un titolo del grande repertorio per la regia di Hugo de Ana. Il noto regista argentino, che riaffronta il capolavoro pucciniano per l’ennesima volta, regala anche in questa versione un allestimento di grande impatto visivo. Ci immerge da subito in una Roma ottocentesca torbida e fosca, piena di inquietudine e, contemporaneamente, ci precipita dentro il clima psicologico che caratterizza la partitura pucciniana. Cita se stesso mantenendo alcuni elementi scenici e creazioni precedenti: delimita il palcoscenico con elementi fissi e videoproiezioni che inondano la scena con citazioni dell’opulenza monumentale e delle opere d’arte della Roma papalina. Il regista realizza così uno spazio talmente ricco visivamente da renderlo claustrofobico, quasi onirico per le prospettive sbilenche delle videoproiezioni che sfumano incessantemente l’una nel’altra. Richiamano la Roma del potere, quella dalle trame oscure e impregnate dalla Chiesa, che trova la sua esplicitazione in scena nel magnifico “Te Deum” alla fine del primo atto, derivazione di quello realizzato a Verona, in cui i cardinali si moltiplicano nei loro abiti sfarzosissimi firmati dallo stesso de Ana.
La regia decisamente cinematografica e al tempo stesso simbolica punta l’attenzione, come ha sottolineato lo stesso regista, sui simboli del potere che con lo scorrere del racconto, schiacciano sempre più i protagonisti verso un destino tragico e ineluttabile. Lo testimoniano, unici elementi costanti in tutti e tre gli atti, le due grandi braccia e mani – ispirati alla statuaria romana di Castel Sant’Angelo, dove si consumerà il dramma dei due innamorati – che cambiano posizione a simboleggiare la dinamica catastrofica della vicenda. Le luci, di Valerio Alfieri, si fanno allora caravaggesche ricche di chiroscuri per evidenziare da una parte la lotta dei protagonisti tutta interiore, tra il bene e il male e l’oscurità della fase storica della vicenda raccontata, piena di guerra. Perché, anche ai giorni nostri, la guerra è sempre frutto del buio dell’animo umano.
Alla prima rappresentazione a Trieste ben calato nelle parti tutto il cast tra cui spicca, decisamente perfetta, la Floria Tosca di Maria Josè Siri. Il soprano uruguaiano con ascendenza italiana, vincitrice dell’Oscar della lirica nel 2017 dopo aver inaugurato la stagione della Scala di Milano l’anno prima, ha offerto una Floria innamorata e disperata, intensa in ogni sua sfumatura d’animo. Accanto a lei Mikheil Sheshaberidze, un Mario Cavaradossi in cui prevale la forza dell’emissione più che gli accenti lirici, e Alfredo Daza in auello di Scarpia che, baritono di grande esperienza, proprone un fraseggio approfondito e curato, in sintonia con la proposta registica. Proprio il rapporto tra Floria e Scarpia, infatti è felicemente indagato con la messa in luce della lotta disperata, ora attrattiva ora repulsiva, dei due personaggi antagonisti. Cosi l’animo del barone crudele e lussurioso viene ampiamente messo in evidenza da de Ana quasi a interrogarsi sull’origine del male in ogni tempo della storia dell’uomo.
Accurata e appassionata anche la condizione d’orchestra di Christopher Franklin, gradito ritorno sul podio del Teatro Verdi, che esalta il colore e i chiaroscuri della musica del compositore toscano. L’orchestra lo segue con generosità e passione.
Si replica sino al 12 marzo per uno spettacolo riuscito dal sapore di un kolossal.
Scritto da: Monica Ferri
Fondazione Teatro Verdi Trieste Giacomo Puccini hugo de Ana Tosca
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